Ali di china: chi ha detto che uccidere è disumano?

In natura si uccide di continuo e nel farlo il predatore non ci mette cattiveria. Ci mette fame, ci mette speranza, ci mette la continuità delle specie sul pianeta. Solo noi esseri umani sappiamo desiderare l’uccisione di un nostro simile di per se stessa.

Che sia per un piacere perverso che spegne la noia nel sangue, o per un senso opinabile di giustizia, che ripaga chi già uccide con la sua stessa moneta. Che sia per punire chi lucra sui disperati e tiene alla catena interi popoli, o anche un solo essere umano. Per fermare chi stupra e picchia e tortura, o vende morte in giro per le strade; chi prevarica, vivendo come un parassita sulle spalle altrui, o chi commercia schiavi, donne e bambini. Chi chiude una fabbrica per sistemare un bilancio, chi svende ospedali e scuole e poi grida la sua abnegazione per lo Stato ai microfoni dei telegiornali. Chi ci dice cosa fare della nostra vita dalla griglia di un confessionale, come fosse cosa sua. Magari un semplice arrogante, un menefreghista; magari uno che ci ha appena superati in cassa al supermercato. Quante occasioni esistono per disseppellire quegli artigli primordiali dalla coltre di inibizioni che li sommergono?

Perché se da un lato l’istinto di uccidere fa parte di noi, è anche vero che la maggior parte di noi non uccide e come società condanniamo chi lo fa. Allora uccidere è umano, oppure disumano? È umano solo desiderarlo e disumano è assecondare tale desiderio? E se quel disumano potesse riemergere, senza preavviso e fuori da ogni controllo, prendendo possesso del nostro corpo, che faremmo?

Se le tue mani uccidessero, ma non fossi tu a muoverle, ti sentiresti un assassino?