Nero Press ha pubblicato il mio primo romanzo in ordine di scrittura: Ali di China. Un horror ambientato a Milano, come piace a me. Ci sono omicidi che non si possono spiegare, eseguiti con tale spietata freddezza che delle vittime non rimane molto da esaminare. Gira voce che a uccidere sia un mostro dotato di ali nere come la china. La stampa ci ricama e la polizia c'impazzisce. Il commissario Panetta è già con la testa in pensione quando il vicequestore lo incarica del caso. Panetta è un tipo razionale, uno che alle ali mica ci crede. Eppure quel sangue, quelle viscere sparse dappertutto, mica sa spiegarseli. Intanto, altrove a Milano, un uomo lotta contro i propri fantasmi interiori ogni volta che ritorna a casa nudo e con le mani lorde del sangue di uomini e donne che avrebbe voluto risparmiare, se solo fosse stato ancora padrone del proprio corpo. Se solo Ali di China non se ne fosse impossessato per farne il proprio strumento di morte. Riuscirà quell'uomo a evitare che la mattanza si ripeta? O forse sarà Panetta a intercettarlo prima? La caccia è aperta.
In natura si uccide di continuo e nel farlo il predatore non ci mette cattiveria. Ci mette fame, ci mette speranza, ci mette la continuità delle specie sul pianeta. Solo noi esseri umani sappiamo desiderare l'uccisione di un nostro simile di per se stessa.
Che sia per un piacere perverso che spegne la noia nel sangue, o per un senso opinabile di giustizia, che ripaga chi già uccide con la sua stessa moneta. Che sia per punire chi lucra sui disperati e tiene alla catena interi popoli, o anche un solo essere umano. Per fermare chi stupra e picchia e tortura, o vende morte in giro per le strade; chi prevarica, vivendo come un parassita sulle spalle altrui, o chi commercia schiavi, donne e bambini. Chi chiude una fabbrica per sistemare un bilancio, chi svende ospedali e scuole e poi grida la sua abnegazione per lo Stato ai microfoni dei telegiornali. Chi ci dice cosa fare della nostra vita dalla griglia di un confessionale, come fosse cosa sua. Magari un semplice arrogante, un menefreghista; magari uno che ci ha appena superati in cassa. Quante occasioni esistono per disseppellire quegli artigli primordiali dalla coltre di inibizioni che li sommergono?
Perché se da un lato l'istinto di uccidere fa parte di noi, è anche vero che la maggior parte di noi non uccide e come società condanniamo chi lo fa. Allora uccidere è umano, oppure disumano? È umano solo desiderarlo e disumano è assecondare tale desiderio? E se quel disumano potesse riemergere, senza preavviso e fuori da ogni controllo, prendendo possesso del nostro corpo, che faremmo?
Se le tue mani uccidessero, ma non fossi tu a muoverle, ti sentiresti un assassino?